Tutte le volte che affidiamo i nostri dati personali alla rete o ad un sistema, vogliamo che chiunque provi ad averne accesso venga prima autenticato. In modo particolare vogliamo che coloro che non sono stati autorizzati dal possessore del dato ad acquisirli, vengano respinti. La parola chiave che possiamo individuare è dunque autenticazione, ovvero il processo tramite il quale viene verificata la corretta identità di un individuo autorizzandolo in questo modo a poter usufruire dei relativi servizi associati.
La vulnerabilità dell’autenticazione tramite oggetti.
Gli strumenti che sono stati utilizzati frequentemente in passato, e che tuttora sono impiegati per verificare ogni tipo di accesso, sono i token, le smart card, PIN e password che, mediante una chiave d’accesso, possono autorizzare il possessore a portare a termine l’operazione. Purtroppo però non è difficile che tali oggetti possano essere rubati, copiati, prestati o dimenticati. Appare dunque evidente che anche una semplice password, che può sembrare uno strumento altamente sicuro per proteggere le proprie informazioni, perché visto come personale, in realtà può capitare in mani mal intenzionate. L’errore che quindi si può dire di continuare ancora a commettere, è quello di lasciare autenticare al sistema che si utilizza un oggetto, anziché la persona che ne fa uso.
La Biometria e la sua storia.
Il mezzo che invece pare giungere in nostro aiuto e che contraddistingue univocamente ogni persona, impedendone furti e contraffazione, è la biometria. Per effetturare il confronto delle carratteristiche biometriche, e quindi verificare l’identità di una persona, vengono impiegati i template, ovvero dati codificati che rappresentano le features uniche delle nostre caratteristiche biometriche.
Facendo un passo indietro nel tempo, il primo metodo di identificazione scientifico biometrico è avvenuto nel 1870 presso il carcere di Parigi. Il fotografo Bertillon era stato convocato nella struttura per annotare i tratti fisici dei detenuti, e successivamente aveva deciso di fondare un laboratorio di polizia scientifica e identificazione dei criminali. Il suo metodo, poi denominato sistema Bertillon, consisteva nel prelevare le misure fisiche dei detenuti, poiché l’ossatura di ogni individuo rimane immutabile dopo i 20 anni e ogni scheletro si presenta diverso in ogni persona. Accanto ad ogni misurazione, veniva annotato il nome del detenuto e stampata una foto segnaletica, scattata sia frontalmente che lateralmente. Risultava così molto semplice riconoscere un soggetto che veniva nuovamente arrestato e che si presentava sotto una falsa identità. Il metodo poi veniva insegnato mediante corsi di formazione, ma i dati prelevati dagli esponenti dalla polizia a Londra e a Parigi non risultavano così accurati e precisi come quelle di Bertillon e conseguentemente la tecnica venne sempre meno utilizzata. Con la scomparsa della tecnica di Bertillon, si fece strada una nuova scoperta, che fu talmente rivoluzionaria ed efficace che ancora tuttora viene utilizzata: l’impronta digitale.
Il futuro è biometrico.
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